Sessant’anni fa la prima Marcia per la Pace ideata da Aldo Capitini

di Giorgio Giannini

Sessanta anni fa, in un momento internazionale difficile (la costruzione del Muro di Berlino; la crisi di Cuba, con la minaccia dello scontro atomico tra gli USA e l’URSS; la forte contrapposizione tra la Nato ed il Patto di Varsavia), il filosofo perugino Aldo Capitini (considerato il Padre della Nonviolenza italiana) lancia un Appello alle “persone comuni”, per una “Marcia per la pace e la fratellanza tra i popoli”, da Perugia ad Assisi (la città di San Francesco), che si svolge il 24 settembre 1961.

Il significato profondo della Marcia è evidenziato da Capitini nei seguenti quattro caratteri fondamentali:

1) l’iniziativa era partita da persone indipendenti dalla politica e pacifisti integrali;

2) la Marcia doveva destare la consapevolezza della “pace in pericolo” nelle persone semplici, lontane dall’informazione e dalla politica;

3) la Marcia era l’occasione per la presentazione del “metodo nonviolento”;

4) l’iniziativa si richiamava al “santo italiano della nonviolenza” (San Francesco).

La Marcia, avversata all’inizio dai Partiti, anche di Sinistra, fu un successo enorme a livello popolare. Fece superare sia il vecchio pacifismo generico, laico e religioso, sia quello politicizzato, ma soprattutto fece diventare la Nonviolenza un “progetto politico”. Questa fu la grande novità che diede basi solide al pacifismo italiano.

Molti gli chiesero di ripetere l’iniziativa ogni anno, ma Capitini rifiutò di farlo per evitare che non solo la Marcia, ma anche lo stesso ideale di Pace e di Nonviolenza, diventassero una “ritualità” ed una “stanca ricorrenza”, come in effetti sono diventate, nel tempo, tutte le ricorrenze annuali, anche quelle istituzionali, che dovrebbero essere “molto sentite” dalla popolazione, come la Festa della Repubblica, il 2 giugno, e la Festa della Liberazione dal nazifascismo, il 25 aprile. Perché questo non avvenga è necessaria una continua sensibilizzazione delle nuove generazioni sui valori della democrazia e della libertà, che purtroppo spesso è mancata.

Dopo quella prima Marcia del 1961, altre ne sono state fatte, con “parole d’ordine” forti, come quella del 1981 “Contro la guerra: a ognuno di fare qualcosa”.
In seguito la Marcia è diventata un importante momento periodico di incontro dei tantissimi Comitati per la pace, che costituiscono nel 1995, per iniziativa del Sacro Convento di Assisi, la Tavola della Pace, che organizza la prima imponente Marcia con la partecipazione di oltre 100.000 persone. In quell’anno nasce anche l’Assemblea dell’ONU dei Popoli.
In seguito i Comitati per la pace si sono impegnati anche nei social forum, mondiali ed europei, dove si è costruito l’impegno per la “giustizia ambientale”, con lo slogan “Un altro mondo è possibile”, ancora oggi presente nelle manifestazioni.

Oggi cosa penserebbe e farebbe Aldo Capitini?

Siamo convinti che sarebbe certamente in prima linea a difendere i diritti dei migranti, a denunciare lo sfruttamento crescente dei lavoratori, i cambiamenti climatici, che portano sciagure in molte parti del Mondo ed anche nel nostro Paese. Sarebbe certamente dalla parte di chi sostiene la necessità di riconvertire l’economia, da militare ed energivora a disarmata e sostenibile, e di ridurre le ingentissime spese militari, che possono essere destinate a fini sociali e sanitari. Sarebbe certamente dalla parte di chi chiede la messa al bando delle armi nucleari (approvata dall’ONU ed ancora non ratificata dal nostro Paese). Sosterrebbe con forza la Proposta di legge per la Difesa civile non armata e nonviolenta e le missioni dei Corpi civili di pace al posto delle Missioni militari. Sosterrebbe i giovani del Servizio civile universale, che spesso sono impegnati a favore dei più deboli. Denuncerebbe le discriminazioni e le violenze contro le donne. Sarebbe impegnato, insieme con tante associazioni, per costruire un Mediterraneo di pace, di convivenza e di democrazia.
Ci immaginiamo quindi Capitini attivamente impegnato a sostenere l’azione dei Movimenti, delle Reti, delle Comunità locali, che praticano il metodo nonviolento per contrastare una cultura ed un modello di società e di sviluppo che egli, sessant’anni fa, riteneva profondamente sbagliati ed ingiusti.

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