Il Positive Peace Report 2015, pubblicato dall’Institute for Economics and Peace (IEP), adotta un approccio alternativo per identificare e misurare i fattori di lungo periodo che possono rendere una società più stabile e pacifica. Il mondo si trova infatti ad affrontare nuove sfide, quali il cambiamento climatico, la crescita della popolazione e dei flussi migratori. La pace rappresenta un prerequisito fondamentale per raggiungere i livelli di fiducia, cooperazione e inclusività necessari per trovare soluzioni adeguate a livello globale.
L’analisi si basa su due nozioni di pace definite da Johan Galtung: pace negativa e pace positiva. Se la prima è intesa come assenza di violenza, la seconda è la presenza di atteggiamenti, istituzioni e strutture che creano e sostengono società pacifiche. Una pace positiva consolidata rappresenta quindi la capacità di una società di soddisfare le esigenze dei cittadini, ridurre le tensioni che si presentano e risolvere i rimanenti contrasti, senza l’uso della violenza.
Il report identifica otto fattori o pilastri, che sono alla base della pace positiva: il corretto funzionamento del governo; un contesto imprenditoriale sano; un’equa distribuzione delle risorse; il rispetto e l’accettazione dei diritti altrui; buoni rapporti di vicinato; la libera circolazione delle informazioni; alti livelli di capitale umano e un basso livello di corruzione. La pace positiva risulta poi empiricamente e quantitativamente correlata al raggiungimento di altri fattori di sviluppo considerati desiderabili per una società, come la crescita economica, la sostenibilità ambientale, la parità di genere, la coesione sociale.
Il report contiene al suo interno anche una sintesi del Peace Positive Index 2015, realizzato per la prima volta dall’IEP per misurare cambiamenti negli atteggiamenti, nelle istituzioni e nelle strutture dal 2005 al 2015 in 162 paesi, corrispondenti al 99% della popolazione mondiale. A livello globale, la pace positiva risulta migliorata dal 2005 e 118 dei 162 paesi classificati, ovvero il 73%, hanno mostrato dei progressi nel periodo considerato. Sei degli otto pilastri posti alla base della pace positiva registrano dei miglioramenti. Il maggiore deterioramento riguarda il basso livello di corruzione in 99 paesi, a fronte dei 62 in cui risulta migliorato. Tra i paesi presi in esame, la pace positiva risulta deteriorata negli Stati Uniti e in oltre il 50% dei paesi in Europa, a causa di una maggiore corruzione e di limiti posti alla libertà di stampa.
Un deterioramento di oltre il 5% dell’indice di pace positiva si registra in Ungheria, Grecia, Stati Uniti e l’Islanda; mentre un miglioramento di almeno il 7% riguarda la Polonia, l’Arabia Saudita, l’Uruguay, il Nepal e gli Emirati Arabi Uniti. Le democrazie, pur rappresentando una minoranza, hanno sempre il più alto livello di pace positiva e i paesi ad alto reddito sono tra i primi 30 classificati all’interno dell’indice.
La pace positiva è inoltre correlata positivamente con alti livelli di resilienza. Infatti, i primi 40 paesi con un alto indice di pace positiva presentano anche una maggiore capacità di adattamento al cambiamento e di risposta alle crisi, come dimostrato dalla risposta islandese durante e dopo la crisi finanziaria globale o la ripresa del Giappone dopo lo tsunami del 2011.
Il report mette quindi in evidenza la natura interdipendente dei diversi aspetti della pace, fornendo una cornice di riferimento per comprendere le molteplici sfide che il mondo affronta.