Supplemento al n.1.18 – Gli obiettori di coscienza italiani nella Grande Guerra

di Giorgio Giannini

Premessa

Pubblichiamo questo Supplemento in occasione del 106° anniversario dell’entrata del nostro Paese nella Prima guerra mondiale, il 24 maggio 1915, per ricordare gli obiettori di coscienza che rifiutarono, per motivi religiosi e morali, di portare e di usare le armi nel conflitto e che hanno pagato questa loro coraggiosa scelta con il duro carcere militare.
Oltre a loro, di cui conosciamo la storia, ci sono stati sicuramente molti altri giovani che hanno rifiutato di presentarsi alla visita di leva per l’arruolamento o alla chiamata alle armi.
Al riguardo, ricordiamo che durante la Grande Guerra ci sono state circa 3.000 condanne a morte, emesse “in contumacia” (senza la presenza degli imputati) dai Tribunali Militari a carico di cittadini, più meno giovani, che non si erano presentati, soprattutto alla chiamata alle armi, perché erano emigrati e quindi non erano ritornati in Italia per andare in guerra. Preferirono rimanere nel Paese in cui ormai vivevano anche se questa loro scelta segnò una “rottura” con il nostro Paese, nel quale poterono ritornare solo dopo molti anni, in seguito ad una amnistia generale.
Ci piacerebbe conoscere la loro storia, sapere dove erano nati, quando erano emigrati, quale lavoro facevano nel Paese in cui vivevano.
Inoltre, è doveroso ricordare gli oltre 100.000 soldati condannati per diserzione (soprattutto nel terzo anno di guerra, il 1917), molti dei quali probabilmente avevano maturato la scelta di non combattere più in seguito ad una crisi di coscienza, fondata su valori religiosi e morali. Possiamo pertanto considerarli obiettori di coscienza “tardivi”, che comunque hanno pagato la loro scelta di non combattere più con la dura reclusione militare.
Di queste cose abbiamo già scritto nel Quaderno n. 1 del 2018 “La giustizia militare «sommaria» nella Grande Guerra”, al quale rinviamo.
Abbiamo inserito in questo Supplemento un’Appendice su “Il diritto di resistenza nella Costituzione Italiana” perché riteniamo che il diritto all’obiezione di coscienza sia una forma di resistenza individuale alle Leggi che sono in contrasto con la propria coscienza, e pertanto è stato riconosciuto dal nostro Legislatore come una espressione della libertà di coscienza e di pensiero, tutelata dalla Costituzione tra i Principi Fondamentali.

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