È giusto “ricordare” i comandanti che hanno ordinato le esecuzioni sommarie e le decimazioni durante la Grande Guerra?

di Giorgio Giannini

Sono passati più di 100 anni dall’inizio della Grande Guerra, che è stata una immensa carneficina (quasi 9 milioni di morti e 21 milioni di feriti), una “inutile strage” come scrisse il Papa Benedetto XV nella sua Nota Ai Capi dei Popoli in guerra del 1 agosto 1917.

Purtroppo, è ancora viva la retorica di quella guerra, considerata “il compimento del processo di Unificazione Nazionale”, iniziato nel 1848, con la Prima Guerra di Indipendenza, e conclusosi con la liberazione delle “terre irredente”, in particolare le città di Trento e di Trieste.

In questo modo, collegando simbolicamente la Grande Guerra all’Unità Nazionale, si tende a giustificare quel terribile “massacro”, che ha causato al nostro Paese circa 650.000 morti e quasi 1.100.000 feriti e mutilati (tra i quali circa 4.500 “scemi di guerra”).

Di quella “carneficina” sono responsabili molti Alti Comandanti, in primis il Comandante Supremo, il generale Luigi Cadorna, che hanno mandato a morire centinaia di migliaia di soldati in inutili assalti alle trincee nemiche, ben difese, e molto spesso inespugnabili, dalle quali le mitragliatrici (che sparavano fino a 500 colpi al minuto) “falciavano i soldati come spighe di grano durante la mietitura”.

Sarebbe stato opportuno, in occasione del Centenario della Grande Guerra, che si facesse piena luce sulle responsabilità dei nostri Vertici Militari, che hanno dimostrato non solo grande “impreparazione militare e incapacità strategica”, continuando ad attuare tattiche superate, mandando al massacro, con freddezza, come “carne da cannone”, centinaia di migliaia di soldati, ma soprattutto grande spietatezza d’animo (ed anche, in molti casi, sadismo) nell’applicare ai propri Reparti, con estrema facilità, la Giustizia militare sommaria, con le esecuzioni sommarie  e le decimazioni.

Ricordiamo al riguardo, il generale Andrea Graziani, nominato da Cadorna Ispettore Generale del movimento di sgombro durante la ritirata di Caporetto dell’autunno 1917, il quale girava in auto tra i Reparti in ritirata, con una scorta di Carabinieri a cavallo, ai quali ha ordinato di procedere a ben 51 esecuzioni sommarie, tutte documentate dalla Commissione speciale di inchiesta, istituita nel 1919 e presieduta dal generale Tommasi, e che sicuramente sono molte di più. Al riguardo, ricordiamo i seguenti episodi, che sono “singolari” e suscitano molto sdegno: il 3 novembre 1917, a Noventa di Padova, il generale Graziani ordina la fucilazione immediata del soldato Alessandro Ruffini, di Castelfidardo (Ancona), che è passato davanti a lui tenendo il sigaro in bocca. L’episodio è così raccontato dallo stesso Graziani: ”Saltato giù dall’automobile e, di corsa, penetrato entro le file, ho bastonato nella schiena quel soldato. Fermato lo sfilamento, legato il soldato dai Carabinieri della mia scorta, l’ho fatto immediatamente fucilare contro il muro della casa vicina: tutto si è svolto nel tempo di quattro o cinque minuti. … Ho operato con la sola visione di fare quanto ritenevo  indispensabile per il bene della Patria in pericolo”. Al fatto ed alla fucilazione del povero disgraziato Ruffini assistono alcuni civili, che rimangono inorriditi dal  sadismo di Graziani.

Sempre durante la “ritirata di Caporetto”, Graziani fa fucilare, vicino a Schio (Vicenza),  i soldati Adalberto Bonomo, di Napoli, e Antonio Bianchi, di Gallarate (Milano) che non lo avevano salutato nel modo prescritto dal Regolamento militare. Nel marzo 1921, a ricordo di questo comportamento sadico e spietato di Graziani, la Lega proletaria di Magrè, Frazione del Comune di Schio, ha posto nel Cimitero una lapide con la seguente scritta:“Vittime insanguinate\ di sanguinario militarista\cui\ nè il pianto dei figli\delle spose dei parenti\ nè i prieghi dei cittadini\ mossero il cuore a pietà\ Bonomo \ Adalberto da Napoli\ Bianchi Antonio da Gallarate\ eroici soldati d’Italia\ qui caddero\ lieve colpa con la vita espiando\ e qui riposano.\ A pietoso ricordo dei fucilati\ a perpetua infamia dell’assassinio\ il popolo di Magrè\ pose”.

Quattro mesi dopo i Carabinieri smurarono la lapide e la sostituirono con un’altra in cui erano state tolte le prime sette righe e la terzultima, cancellando pertanto sia il riferimento alla fucilazione, considerata un “assassinio,  sia al Generale, ritenuto un ”sanguinario militarista”, ed all’infamia da lui commessa.

Inoltre, il 12 giugno 1918 Graziani fece fucilare, per diserzione, alla presenza di un intero Battaglione, otto soldati del 33° e 34° Reggimento della Divisione cecoslovacca, che erano stati appena riportati all’accampamento dai Carabinieri. La Divisione era stata costituita nel maggio 1918 con prigionieri e disertori dell’esercito austroungarico ed entrata in azione nel giugno nella zona del Piave. Gli Ufficiali Superiori, Comandanti dei Reparti erano italiani. Dato che c’erano state nei giorni precedenti varie diserzioni, e altre se ne temevano, soprattutto nella 9 Compagnia, Graziani ordinò al Colonnello Gambi, Comandante del 34° Reggimento, di fucilare immediatamente, alla schiena e senza processo, i militari sorpresi a tentare la fuga per disertare. Fece inoltre rimuovere, per la “scarsa energia” dimostrata nel reprimere sul nascere il tentativo di diserzione, il Comandante italiano (un Tenente) della 9 Compagnia.

È necessario, pertanto, che a distanza di oltre un secolo dalla Grande Guerra si prendano iniziative, non solo per “riabilitare” le migliaia di soldati “morti per mano amica” (i fucilati con Sentenze dei Tribunali Militari, molto spesso Straordinari; i militari vittime delle decimazioni e delle esecuzioni sommarie…), come aveva previsto una Proposta di Legge, approvata all’unanimità dalla Camera il 21 maggio 2015 e poi non approvata dal Senato, e come prevede una Risoluzione approvata il 10 marzo 2021 dalla Commissione Difesa del Senato, ma anche per valutare obiettivamente l’operato di quei Comandanti che, con estrema facilità, hanno mandato al massacro i propri soldati ed hanno fatto eseguire, con estrema facilità, le esecuzioni sommarie  e le decimazioni, nei loro Reparti schierati al fronte e per stabilire se essi meritano di essere “ricordati con la dedica di strade e di piazze”.

Al riguardo, è lodevole l’iniziativa presa dal Comune di Udine, con il sostegno di migliaia di cittadini, comprese alcune eminenti personalità del mondo culturale, per rinominare la Piazza Luigi Cadorna in Piazza dell’Unità d’Italia.

Si è conclusa così una lotta pluriennale portata avanti, con coraggio e con tenacia, da un Comitato locale, che ha voluto in questo modo “punire”, con un atto formale, anche se a distanza di un secolo dai fatti, il generale Luigi Cadorna, Comandante Supremo del nostro Esercito nella Grande Guerra, tristemente famoso per aver emanato, dall’inizio del Conflitto fino alla sua sostituzione con il Gen. Armando Diaz, dopo la “disfatta di Caporetto” della fine dell’ottobre 1917, una serie di Circolari e di Bandi che ordinavano ai Comandanti dei Reparti di procedere, con fermezza, all’applicazione della “giustizia sommaria”, per reprimere, con le decimazioni e le esecuzioni sommarie, non solo ogni minima manifestazione di indisciplina da parte dei soldati al fronte, ma anche per contrastare il cosiddetto “disfattismo” (che il Partito Socialista era accusato di propagandare), che fu considerato dai Vertici Militari la causa principale della “disfatta di Caporetto”, per coprire le loro gravi incapacità nella conduzione della guerra.

Pertanto, quello che è stato fatto per il generale Cadorna ad Udine si dovrebbe fare con tutti quei Comandanti che hanno mandato al massacro, inutilmente, i loro uomini, in attacchi suicidi contro obiettivi ben difesi e quindi inespugnabili, e che hanno represso, con spietatezza, ogni minima manifestazione di indisciplina dei propri soldati, e che sono ricordati con la dedica di strade, di piazze e di caserme, e sono onorati, soprattutto nei luoghi natali, come eroi di guerra, in occasione delle celebrazioni del IV novembre, anniversario della “vittoria” nella Grande Guerra.

Questo naturalmente presuppone una accurata ricerca storica sulla “giustizia sommaria” applicata al fronte, non solo negli Archivi Militari, ma anche negli Atti Parlamentari (soprattutto le Interrogazioni presentate dai Deputati alla Camera), nei giornali dell’epoca, nelle fonti letterarie (ad esempio i romanzi storici scritti da Emilio Lussu o da Curzio Malaparte) e nella memorialistica (i “diari di guerra” dei combattenti), per cercare di ricostruire le responsabilità dei Comandanti per le decimazioni e le esecuzioni sommarie ordinate nei loro Reparti.

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